Mandato di arresto europeo: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e l’art. 3 della CEDU

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15 giugno 2016

La Corte di Appello di Brema (Germania), rispettivamente in data 23 luglio 2015 e 8 dicembre 2015, ha presentato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’ambito di due procedure relative all’esecuzione del mandato di arresto europeo, domanda di pronuncia pregiudiziale sulla legittimità della consegna se sussistono gravi indizi che le condizioni di detenzione nello Stato emittente violino i diritti fondamentali dell’interessato e ovvero se la consegna può essere subordinata all’ottenimento di garanzie sul rispetto delle condizioni di detenzione da parte richiedendo anche se lo Stato di esecuzione poteva o doveva formulare a tal proposito formulare requisiti minimi da garantire e se lo Stato emittente è autorizzato a fornire tali garanzie.

 

Con sentenza del 5 aprile 2016, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, riunendo le due procedure, ha stabilito  che “ in presenza di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati comprovanti la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione per quanto riguarda le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve verificare, in modo concreto e preciso, se sussistono motivi seri e comprovati di ritenere che la persona colpita da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, a causa delle condizioni di detenzione in tale Stato membro, corra un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in caso di consegna al suddetto Stato membro ”. A tal fine lo Stato di esecuzione deve dunque richiedere delle informazioni supplementari all’Autorità Giudiziaria emittente fissando un termine al fine di salvaguardare la celerità della procedura. Se non vengono fornite informazioni ovvero qualora vengano ritenute insufficienti, lo Stato di esecuzione può rifiutare la consegna.

La Corte Suprema di Cassazione, VI sezione penale, ha subito recepito tale interpretazione emettendo in data 14 giugno 2016 sentenza di annullamento di un ordine di consegna emesso dalla Corte di Appello di Roma per omessa richiesta di informazioni supplementari, ribadendo sulla questione in oggetto le argomentazioni contenute nella prima pronuncia emessa in data 1 giugno 2016.

Nel caso in esame un cittadino rumeno, difeso dallo scrivente nel giudizio innanzi alla Suprema Corte, è stato tratto in arresto in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dalla dall’autorità giudiziaria rumena relativo ad una condanna definitiva ad anni otto di reclusione. La corte territoriale in data 17 maggio 2016 ha disposto la consegna dell’interessato, pur dando atto in motivazione della richiesta difensiva di emissione di un provvedimento di rifiuto della consegna fondato sull’esistenza di un attuale problema sistemico delle carceri rumene (in particolare in relazione al sovraffollamento e alla condizioni materiali di detenzione) che comporterebbe la sottoposizione del RUSU ad un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’art. 3 della CEDU. Tale istanza è stata disattesa in quanto ritenuta generica, non documentata e sfornita di riscontri concreti.

In realtà, in presenza di un rischio concreto  di condizioni di detenzione in violazione dei diritti fondamentali del consegnando, l’autorità giudiziaria investita di una richiesta di consegna deve sollecitare, anche d’ufficio se sussistono elementi oggettivi ed attendibili nonché precisi e aggiornati (risultanti in particolari dalle sentenze della Corte Edu e dalle relazioni periodiche del Comitato di Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti Inumani e Degradanti) l’invio di precise informazioni ed adeguate rassicurazioni da parte dello Stato richiedente al fine di ottenere le necessarie garanzie in relazione al rispetto minimo delle condizioni di detenzione secondo i parametri dell’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (“ Divieto di pene o trattamenti inumani e degradanti ”). La Corte di Cassazione ha dunque annullato con rinvio la sentenza impugnata al fine di far compiere alla Corte di Appello la predetta istruttoria secondo le linee guida tracciate nella citata sentenza del 1 giugno 2016.  

Avv. Walter De Agostino